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La Fida Ninfa

opera di Ottorino Respighi

La fida Ninfa, dramma per musica di Antonio Vivaldi (1678-1741), su libretto di Scipione Maffei.


Prima rappresentazione: Verona, Teatro Filarmonico, 6 gennaio 1732.
Licori (S), Elpina (A), Oralto (B), Morasto (S), Osmino (A), Narete (T), Giunone (A), Eolo (B)


La genesi dell'opera è strettamente intrecciata alle vicende che accompagnano la nascita del Teatro Filarmonico di Verona, su progetto di Francesco Bibbiena; i lavori, iniziati nel 1715 furono terminati nel 1729.


L'accademico Scipione Maffei, per l'inaugurazione del Teatro, riprese una sua opera giovanile, La fida Ninfa, affidando la composizione della musica a Giuseppe Maria Orlandini e, allo stesso Bibiena, il disegno delle scene.


Le autorità veneziane però, per motivi politici e buracratici, vietarono lo spettacolo, che venne riproposto, rimossi gli ostacoli, nel 1732. Questa volta per la musica venne incaricato Antonio Vivaldi che si trovò a lavorare su un libretto e scene già esistenti.
La partitura manoscritta dell'opera è conservata nella Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino e la sua pubblicazione, a cura di Raffaello Monterosso, nel 1964, suscitò nuovo interesse per Vivaldi operista.


La vicenda: Narete, pastore di Scipio, e le sue due figlie, Licori ed Elpina, sono stati rapiti da Oralto, corsaro e signore dell'isola di Nasso. Ancora bambina, la bella Licori è stata promessa a Osmino, che però è stato rapito dai Traci. Nonostanta la lontananza, Licori lo ama ancora e gli è fedele (da qui il titolo dell'opera), ma non lo riconosce nelle vesti di Morasto, luogotenente del corsaro, il quale ha invece riconosciuto i nuovi arrivati, ma non rivela la sua vera identità. Un altro Osmino (che si scoprirà fratello del primo), vive prigioniero a Nasso: Elpina se ne innamorerà mentre il giovane si invaghisce di Licori; quando però Elpina scopre il suo nome, ne da notizia alla sorella, che crede di riconoscere il suo primo amore e gli dimostra il proprio affetto. Morasto li vede insieme e ne rimane sconvolto. Anche Oralto è invaghito della fanciulla e la sua corte si fa sempre più assidua. Su consiglio del padre, Licori si nasconde in una grotta, ma, inciampando perde un velo nel ruscello. Narete lo mostra a Oralto, dicendo che la figlia si è gettata in mare. Partito il corsaro, Morasto rivela la sua identità rimproverando a Licori di non essergli stata fedele, ma Narete chiarisce che Osmino non è altri che Tirsi, fratello di Osmini/Morasto. Morasto e Licori si riappacificano e i cinque decidono di fuggire, nonostante le minacce di tempesta. Eolo interviene, placa i venti, salva i pastori, i cui "casti amori" saranno favoleggiati "su nobile scena armonica e novella"', appunto il Teatro Filarmonico.


Note tratte da il Dizionario dell'Opera, a cura di Piero Gelli, Milano, Baldini&Castoldi, c1996, p. 459-460)
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